Il percorso che porterà Miyazaki alla fondazione dello studio Ghibli continua con due film d’animazione prodotti dalla Toei Animation: Il gatto con gli stivali e Gli allegri pirati dell’isola del tesoro, in cui possiamo rintracciare alcuni degli elementi chiave che caratterizzeranno la poetica dell’artista e le sue future pellicole.
Con lo splendido ma economicamente fallimentare La grande avventura del piccolo principe Valiant (di cui vi abbiamo parlato nell’articolo Le origini dello studio Ghibli) ha inizio l’epoca d’oro dell’animazione giapponese, che si protrarrà fino agli anni ’80. All’interno della casa di produzione Toei si è ormai creata una frattura tra la dirigenza e i suoi animatori e il primo a pagarne il conto è stato proprio Isao Takahata, retrocesso a storyboarder per piccole produzioni televisive e che di lì a tre anni lascerà l’azienda per passare alla A production, attuale Shin Ei animation, con Yasuo Ōtsuka.
Hayao Miyazaki continua invece a lavorare senza sosta per la Toei, probabilmente anche grazie all’influenza del suo maestro Yasuji Mori che in quegli anni era fra i migliori animatori di tutto il Sol Levante. Insieme parteciperanno alla produzione di diversi lungometraggi tra cui Il gatto con gli stivali (1969), Flying Phantom Ship (1969) in cui Miyazaki realizzerà il gigantesco robot della scena finale, Alì Babà e i 40 ladroni (1971) e infine Gli allegri pirati dell’isola del tesoro (1971).
Dopo aver ridimensionato gli animatori più ribelli, la Toei continua la politica di occidentalizzazione del prodotto e, come già fatto in precedenza dall’americana Disney, investe sulla trasposizione filmica di una classica fiaba: Il gatto con gli stivali di Charles Perrault, affidando la regia a Kimio Yabuki. In questo caso troveremo esattamente quello che ci aspettiamo: un film rivolto al mercato dell’infanzia, con una trama che accentua il carattere comico e avventuroso della storia e ovviamente ambientazione europea.
Il gatto Pero (traslitterazione di Perrault in giapponese) fugge da una congrega di gatti dopo esser stato condannato a morte per non aver mangiato un topo. Incontra così il giovane Pierre, timido e impacciato ragazzino, e insieme iniziano la più classica delle avventure: salvare la principessa di cui Pierre si è innamorato dalle grinfie del cattivo e potente Lucifero.
Sono molti gli espedienti presi dall’animazione americana: dalle canzoncine che i protagonisti cantano in perfetto stile Disney, all’umorismo tipico dei Looney Tunes della Warner Bros. Saranno proprio i disegnatori a fare la differenza: il maestro Mori ha uno stile pulito con tratti morbidi e animazioni incredibilmente fluide se paragonate ad altri animatori degli stessi anni. I suoi personaggi sono semplicemente adorabili, come il piccolo esercito di topini che aiuterà i nostri eroi a salvare la principessa, i tre gatti moschettieri che danno la caccia a Pero per conto del Clan dei Gatti, anche il cattivissimo Lucifero non è altro che un orco paffutello e innamorato. Proprio Lucifero è protagonista di una delle scene più rilevanti a livello artistico e, se vogliamo, anche quella più tradizionalmente giapponese: la metamorfosi dell’orco in diversi animali. Pero è invece caratterizzato da piccoli accorgimenti creativi come il baffo che si rizza ogni volta che ha un’idea geniale.
A Miyazaki sono assegnate le scene d’azione. Gli inseguimenti esilaranti all’interno del castello di Lucifero sono veloci e accattivanti, frutto dell’ingegno del piccolo gatto e di coincidenze fortuite. Il gatto con gli stivali è un passaggio cruciale per lo stile di Miyazaki, infatti questo tipo di azione la ritroveremo nella sua prima regia Lupin III e il Castello di Cagliostro (1979).
A questo punto forse è inutile dirvi che il successo del film fu clamoroso, tanto che la Toei non solo produrrà ben due seguiti, ma sceglierà il volto del simpaticissimo Pero come logo della compagnia, come la Disney aveva già fatto con Topolino e lo Studio Ghibli farà con Totoro. Ma soprattutto Miyazaki continua la sua scalata verso il successo, arrivando a esser scelto come consulente artistico, oltre che animatore chiave, per un altro piccolo gioiello dell’animazione giapponese: Gli allegri pirati dell’isola del tesoro del 1971.
Il film è liberamente – molto liberamente – tratto dal romanzo L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, ed è stato prodotto in occasione del ventesimo anniversario della Toei. Jim è un ragazzino che si trova casualmente in possesso di una mappa del tesoro e parte all’avventura con il suo fedele topolino Grant, imbattendosi nel temibile Capitan Uncino e in Kathy, la nipote di un pirata onesto, con cui combatterà per la libertà. L’ambientazione è il Mar dei Caraibi, passando ovviamente dalla famosa città di Tortuga. Tranne Jim e Kathy i personaggi sono animali antropomorfi, figure di cui la tradizione giapponese è ricca e che, essendo quasi invulnerabili, permettono di usare maggiore violenza rimanendo allo stesso tempo buffi, accentuando così l’effetto di fuga dalla realtà, concetto molto caro al pubblico nipponico. Come per Il gatto con gli stivali, anche ne Gli allegri pirati dell’isola del tesoro comicità e avventura sono elementi portanti della pellicola. Le scene d’azione sono lunghissime e molto divertenti mentre la tenacia e l’ingegno del piccolo Jim sono le caratteristiche che porteranno al lieto fine della storia.
Grazie a questa pellicola si introduce un elemento fondamentale dell’animazione miyazakiana: la figura femminile. Kathy non è la solita principessa da salvare, è una guerriera, è armata e combattiva, un personaggio autonomo rispetto al suo co-protagonista maschile. Da qui possiamo rintracciare una fenomenologia dei personaggi femminili che inaugurerà quella che verrà definita l’epoca delle donne nell’animazione giapponese. Nelle future pellicole di Miyazaki, ma anche di tantissimi altri animatori, l’eroe sarà incarnato proprio dalle donne, come Nausicaa della valle del vento (1984) che è addirittura una figura messianica, Sheeta di Laputa il castello nel cielo (1986), La prinicipessa Mononoke (1997), Chihiro de La città incantata (2001) e Sophie de Il castello errante di Howl (2004).
Come vedremo continuando il nostro viaggio alla scoperta della storia dello Studio Ghibli, Miyazaki individua nella purezza dei fanciulli, nella forza delle donne e nella saggezza degli anziani i valori che possono portare non solo a una società migliore ma alla salvezza dell’umanità intera. Nei due film che vi abbiamo presentato oggi, alcuni di questi elementi sono presenti ancora allo stadio embrionale, ma sono lì, pronti a esplodere con magnificenza nelle prossime pellicole ma anche sul piccolo schermo, con serie televisive che ancora oggi sono da considerarsi delle mosche bianche emerse dalla massa.
Claudia Caldara