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Urban Art Maps: i 9 luoghi di Roma (parte 3)

Luoghi spaziali, fisici, ideali, tematici (e non comuni) della Street e Urban Art nella Capitale. Proseguiamo con l’ultimo capitolo su Roma (qui la prima parte, qui la seconda)

7.Le facciate di borgata o la muralizzazione
Pur mutando sensibilmente i luoghi, la funzione e gli esiti di forma-contenuto la pratica di “illustrare” le facciate dei palazzi romani non è una vanità del solo presente. Un nobile precedente si distingue nel cosiddetto sgraffito, tipologia decorativa parietale molto diffusa nella Roma del tardo Rinascimento, di cui rimane consunta testimonianza sui prospetti di una manciata di palazzi signorili del centro – l’esempio più noto, perché meglio conservato, è la facciata istoriata da Daniele da Volterra a Palazzo Massimo di Pirro.

Daniele da Volterra, sgraffito sulla facciata di Palazzo Massimo di Pirro (particolare), 1532, photo by tesoridiroma.net
Daniele da Volterra, sgraffito sulla facciata di Palazzo Massimo di Pirro (particolare), 1532, photo by tesoridiroma.net

Quasi mezzo millennio dopo la pittura murale ha preso tutt’altra strada, insinuandosi negli ambigui paesaggi di periferia e nelle borgate abitate da cubici caseggiati di media altezza dai colori caldi e terrosi.

Le borgate romane, tra cui vi sono San Basilio e Tor Marancia, protagoniste negli ultimi anni di notevoli interventi di “muralizzazione”, sono assemblate durante l’età fascista quali trappole di alienazione sociale, mentre vengono esaltate sul fronte della comunicazione ufficiale quali oasi di spontaneità e vita semplice. Oggi, similmente, l’esca fatale e ammiccante degli abusati concetti di riqualificazione e di arte pubblica, mancando ogni tipo di disponibilità progettuale, può materializzare un avvilente inganno per le comunità locali e per l’arte stessa.

Sanba 2015, proiezione su facciata del disegno di un bambino, photo by Sanba
Sanba 2015, proiezione su facciata del disegno di un bambino, photo by Sanba

La corsa alla muralizzazione d’impatto è indiscutibilmente diventata il maggior trend dell’arte urbana nel decennio in corso: solo a Roma, in pochi anni, sono stati dipinti più di cento muri, tra cui molte facciate di notevoli dimensioni – le più alte quelle di Roa a Testaccio ed Etam Cru al Pigneto. In un tale affastellamento non è difficile perdere le redini del senso di ciò che si sta costruendo.

Un altro notevole rischio è legato alla questione gentrification, un processo dalle infelici conseguenze sul piano socio-economico, sempre più comune all’esperienza delle metropoli di tutto il mondo. Non è ancora chiaro il ruolo esercitato dalla Street art all’interno del suo complesso meccanismo. Di certo la massificazione di muri dipinti sta mettendo in gioco interessi sempre maggiori e non è più concesso evadere dalla consapevolezza del problema. Nella capitale, progetti come MURo al Quadraro dimostrano che ponderate modalità di intervento a beneficio dei luoghi possono e devono essere attuate.

8. L’ex-caserma di via del Porto Fluviale o l’arte come strumento sociale.
Prima di essere uno dei più fotografati simboli della contemporanea “età del muro” romana, l’ex-casermone dipinto da Blu in via del Porto Fluviale è soprattutto un baluardo a difesa di una causa collettiva, nello specifico quella di un nutrito gruppo di famiglie che da alcuni anni occupano questa datata e pericolante struttura militare. La quantità di fotografie scattate ai faccioni dagli occhi a finestra è direttamente proporzionale alla possibilità, per gli occupanti, di rimandare lo sgombero.
Così funziona anche nella “città meticcia” di Metropoliz, sulla Prenestina, attorno al quale nel 2012 nasce il già pluri-riconosciuto Maam, un museo-presidio che vive e condivide gli spazi di un vecchio prosciuttificio abitati da una comunità multietnica.

L’asino che vola, via Tor di Nona, photo by Luigi Andreola, 2013. Licenza Creative Commons BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/
L’asino che vola, via Tor di Nona, photo by Luigi Andreola, 2013. Licenza Creative Commons BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/

Roma è una città dove storicamente emerge il ruolo sociale dell’arte portata nello spazio pubblico. Nel 1976 la protesta per le condizioni fatiscenti dell’area di via Tor di Nona viene manifestata dai residenti attraverso la realizzazione di un grande murale collettivo, recante, con ironica provocazione, le immagini di un carnevalesco mondo fantastico. Il curioso asino che vola, visibile dall’adiacente Lungotevere, è ancor oggi testimone di quella straordinaria impresa.

Veicolo di protesta o di resistenza civile. Questa è una delle declinazioni su cui le diverse forme di manifestazione artistica stradale assumono vera consistenza pubblica. Blu ne è il primo, certamente più celebre, attore. Solo a Roma l’artista di Senigallia ha più volte risposto all’appello di comitati di quartiere e collettivi, dalle slanciate pareti di Casal dei Pazzi a quella (censurata) di San Basilio. Gli interventi sulle fronti dell’Alexis in via Ostiense e dell’ex-cinodromo di Marconi evidenziano, infine, lo stretto rapporto con i centri di aggregazione sociale, i quali da sempre esercitano sul suolo capitolino l’imprescindibile funzione di promotore – oltre a preservare un nutrito patrimonio di lavori – di tutte le espressioni artistiche urbane.

9. Via Fanfulla da Lodi o la saga pasoliniana.
Se c’è un tratto distintivo nei profili di comunicazione della Street art questo sta nella sua capacità di costruire e perpetrare, nel bene o nel male, icone riconoscibili, sia sul piano formale che contenutistico. Sulle corde di tale inclinazione possono prender vita filoni tematici ricorrenti: negli ultimi anni, sui muri della capitale, non c’è nulla che abbia avuto la costanza della saga ad immagini dedicata a Pier Paolo Pasolini.

Diavù Pasolini
Diavù, Pasolini, Cinema Impero di Tor Pignattara, 2014

Epicentro del fenomeno è via Fanfulla da Lodi al Pigneto, quella del bar frequentato dal gruppo di amici di Accattone, dove il ritratto – di Omino71 e Mauro Pallotta quelli di Pasolini, di Mr. Klevra quello della giovanissima Vergine del Vangelo Secondo Matteo – quale tendenza rappresentativa, instaura la sua egemonia. Qui Pasolini riconquista le sue, visceralmente amate, periferie, ultimi scrigni di quell’innocenza e di quella spontaneità, pur negli stenti della vita quotidiana, che il grande intellettuale sente vicina, lamentandone l’irrimediabile e prossima estinzione.

Tuttavia emerge un limite. In un’epoca in cui la strada interpreta il ruolo di forte canale mediatico, parafrasando Benjamin, l’immagine (e ciò che rappresenta) perde la sua “aura” a causa della sua iper-riproducibilità stradale. La ridondanza della rappresentazione pasoliniana, soprattutto in chiave ritrattistica, accentua la sua trasfigurazione iconica, allentando la profondità del vigore spirituale a vantaggio della mera sembianza.

Più complesso il discorso attorno al progetto “Hostia” di Nicola Verlato, che con la Street art condivide nient’altro che lo spazio pubblico. Pionieri, anche su tale fronte, i francesi. Ernest-Pignon-Ernest, autore nel 2015 dell’arcinoto intervento della “pietà”, lavora sull’immagine straziante del corpo del poeta sin dal 1980 a Certaldo. Il connazionale Zilda precorre i tempi nelle strade di Roma, dove porta già nel 2008, e poi ancora nel 2013, i personaggi del Pasolini autore di cinema.

Egidio Emiliano Bianco

 

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