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Take me (I’m yours) … away or back?

Evidentemente il periodo di transizione che la società contemporanea sta attraversando induce a ripiegare sul passato per (ri)trovare quel valore aggiunto ormai difficile da reperire nella produzione attuale. Remake per i film, cover e/o campionature varie (a partire dalla house inventata da Frankie Knuckles negli anni ’80) per la musica, ormai anche l’arte vive fenomeni di rievocazione. Non si tratta però delle operazioni commerciali di rifacimento di un’opera – De Chirico docet – o dei troppi plagi e “omaggi” che costellano la storia dell’arte. Due anni fa la Fondazione Prada ha riproposto, nella sua splendida sede veneziana, la mostra When attitude becomes form, originariamente curata da Harald Szeeman alla Kunsthalle di Berna nel 1969 e nell’edizione 2013 affidata a Germano Celant.

Christian Boltanski, Dispersion, 1991-2015. Photo: Marc Domage
Christian Boltanski, Dispersion, 1991-2015. Photo: Marc Domage

Lo scorso 16 settembre la Monnaie de Paris ha aperto le porte della riedizione di una mostra –  allestita nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra – con il titolo Take me (I’m yours). Se l’esposizione del 2013, orchestrata da Celant, era volta a ricostituire, se pur con un rinnovato approccio curatoriale, la stessa atmosfera senza ampliare il numero di artisti presentati, la stessa mostra in corso ora a Parigi nasce per iniziativa dei due curatori originali – Christian Boltanski e Hans Ulrich Obrist, cui si è affiancata Chiara Parisi, direttrice dei programmi culturali della Monnaie – e ha allargato la partecipazione a numerosi attori dello scenario artistico mondiale.

Carsten Höller, Pill Clock, 2015. Photo: Marc Domage. Courtesy of the artist and Air de Paris
Carsten Höller, Pill Clock, 2015. Photo: Marc Domage. Courtesy of the artist and Air de Paris

Troppo lungo fare un elenco della quarantina di artisti presenti, basterà citare per entrambe le edizioni Boltanski stesso, Gilbert & George, Douglas Gordon, Carsten Höller; e tra le new entry Felix Gonzalez-Torres, Daniel Spoerri, Yoko Ono, Dahn Võ. Ad animare la mostra collettiva è la volontà di dissacrare l’idea dell’unicità dell’opera d’arte: il visitatore viene invitato ad appropriarsi delle opere riprodotte in serie e a portarle con sé affinché le opere stesse possano essere condivise e/o disperse – “Dispersion” è nel contempo il titolo dell’opera di Boltanski e il leitmotiv sotteso al percorso – anziché restare confinate negli spazi di qualche museo o collezione privata.

Felix Gonzalez-Torres, “Untitled” (Revenge), 1991
Felix Gonzalez-Torres, “Untitled” (Revenge), 1991. © The Felix Gonzalez-Torres Foundation. Photo: Marc Domage

Dai sacchetti di carta con cui trasportare le opere raccolte, passando per indumenti, pin, capsule d’aria, DVD fai-da-te, poster, dépliant, pillole, caramelle, fino ad arrivare allo scambio/baratto o a oggetti turistici come cartoline di Parigi o piccole Tour Eiffel, tutto è destinato a sparire dalla sede espositiva.

Hans-Peter Feldmann, Postcards. Photo: Marc Domage
Hans-Peter Feldmann, Postcards. Photo: Marc Domage

Al di là dell’immediata dimensione ludica dalla quale anche chi scrive non ha saputo prescindere, Take me (I’m yours) induce a diverse considerazioni. Il fatto che 20 anni più tardi questa sorta di esperimento sia più che mai di attualità sposta l’attenzione su una riflessione su come, a prescindere dalle profonde trasformazioni originate dall’avvento di Internet, nel mondo dell’arte si siano cristallizzate le forme di produzione e di scambio.

Daniel Spoerri, Eat Art Happening, 2015. Courtesy of the artist. Photo: Marc Domage
Daniel Spoerri, Eat Art Happening, 2015. Courtesy of the artist. Photo: Marc Domage

Se, come si diceva più sopra, il bisogno di riproporre tematiche espositive che sono già state oggetto di analisi diventa una necessità, sarà necessario un ripensamento del modo in cui la cultura viene promossa e diffusa: ben vengano le iniziative di artisti e curatori, spetta però anche ad altre branche – istituzioni e discipline che si occupano dei fenomeni societari – recepire e farsi promotrici di un bisogno di cambiamento e innovazione che sembra farsi sempre più impellente in un mondo che davvero non conosce (quasi) più frontiere.

Danilo JON SCOTTA

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