A Bologna la seconda edizione di Biennale Foto/Industria, rassegna che guarda al mondo del lavoro e della produzione industriale
Fotografia industriale. Una definizione che ai più richiama alla mente le immagini rigorose di Gabriele Basilico, o quelle ancor più analitiche e metodiche di Bernd e Hilla Becher. In realtà questa espressione va ben oltre ciò che in un primo momento si è portati a pensare: abbraccia un mondo sfaccettato e denso di concetti e visioni, incrociando una moltitudine di situazioni, processi e forme legate all’universo del lavoro e della produzione. Puntare lo sguardo (e l’obiettivo della fotocamera) su questa moltitudine è proprio quello che fa la rassegna a cadenza biennale Foto/Industria, promossa e organizzata dalla Fondazione MAST di Bologna e allestita fino al prossimo 1 novembre in numerose sedi del centro cittadino – ben dodici, tra edifici storici e luoghi di forte valenza culturale – oltre che negli spazi del MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia).
“Produrre” è il macro-tema di questa seconda edizione, un concetto dal quale il direttore artistico François Hébel ha estratto cinque sotto-temi cui ricondurre i lavori dei diversi fotografi in mostra: produzione (Edward Burtynsky, O. Winston Link, Luca Campigotto), post-produzione (David LaChapelle, Hong Hao), produttori (Pierre Gonnord, Neal Slavin, Gianni Berengo Gardin), prodotti (Hein Gorny, Léon Gimpel), pausa (Kathy Ryan, Jason Sangik Noh). Ne risulta una molteplicità di punti di vista e contenuti presentati sotto forma di piccole ma incisive mostre personali, a se stanti e al contempo interconnesse, rappresentative della varietà di elementi di riflessione che possono scaturire dallo speciale legame tra mondo produttivo e fotografia d’autore.
Vi è l’accento posto da Edward Burtynsky sulla trasformazione ambientale provocata dall’impatto industriale, resa attraverso immagini di grande equilibrio estetico, che sfilano davanti allo spettatore sorrette da una concitata base musicale e incorniciate dagli affreschi del seicentesco Palazzo Pepoli Campogrande.
C’è il portamento dignitoso degli ultimi minatori di carbone delle Asturie ritratti da Pierre Gonnord: volti sporchi e occhi limpidi che sembrano appartenere a un’altra epoca, a un altrove lontano, e la cui mesta fierezza è posta in rilievo anche dalla straordinaria location, l’oratorio del santuario di Santa Maria della Vita.
C’è il portentoso, e quasi surreale, irrompere delle ultime locomotive a vapore nella placida quotidianità della provincia americana, entusiasticamente immortalate da Winston Link nella seconda metà degli anni ’50. Ci sono i vivaci ritratti di gruppo scattati negli anni ’80 da Neal Slavin: dai bagnini ai venditori di hot dog, dagli addetti alle pulizie ai guardiani di elefanti, raggianti e composti nella loro tenuta da lavoro. E i lavoratori sono protagonisti anche negli scatti in bianco e nero di Gianni Berengo Gardin, o meglio, è il rapporto tra “l’uomo, il lavoro e la macchina” a risaltare nel notevole corpus fotografico in mostra, carico di acume e forza narrativa.
Insomma, uno dei punti di forza di questa Biennale Foto/Industria, dove trovano spazio in egual misura lavori autonomi e commissionati dalle imprese, fascino per il mondo industriale e approccio critico, è proprio la peculiarità di un percorso espositivo articolato e scandito da umori e realtà distinte, “dall’infinitesimale al gigantesco”, nel quale è possibile individuare l’intrecciarsi di tre assi portanti – piacere estetico, carattere educativo e dimensione politica –, come suggerisce Hébel.
Lodevole è poi il sostegno alla fotografia emergente, grazie al concorso GD4PhotoArt 2015 a cura di Urs Stahel, di cui al MAST sono esposti i finalisti (Marc Roig Blesa, Raphaël Dallaporta, Madhuban Mitra e Manas Bhattacharya) e il vincitore, Óscar Monzón, che con il progetto Maya ha innescato un cortocircuito tra realtà urbana e immaginario pubblicitario.
Il MAST ospita anche altri due significativi progetti, a completare il quadro di una Biennale in dialogo con il passato, con la città e con il pubblico. Si tratta dell’interessante mostra Dall’album al libro fotografico, che ripercorre la storia dell’industria italiana attraverso 120 volumi provenienti dalla collezione milanese di Savina Palmieri, tra album fotografici, preziose pubblicazioni e opuscoli promozionali, e del laboratorio di sperimentazione fotografica La Capanna del Mago Nino, grazie al quale bimbi e adolescenti possono apprendere tecniche e rudimenti da un maestro d’eccezione come il fotografo Nino Migliori.
Unico neo di Foto/Industria 2015: la breve durata (appena un mese, eccetto le esposizioni al MAST che proseguiranno fino al 10 gennaio 2016), un vero peccato per un evento di tale spessore, ma un motivo in più non solo per affrettarsi a visitare le quattordici mostre in programma, ma anche per approfittare del ricco calendario di eventi collaterali, tra performance, proiezioni cinematografiche, incontri con i fotografi e visite guidate con i curatori coinvolti.
Francesca Cogoni
Foto/Industria 2015 – Biennale di Fotografia Industriale
MAST e sedi varie, Bologna
Fino all’1 novembre 2015
Martedì – domenica, 10.00-19.00
Ingresso gratuito
www.fotoindustria.it