Game Over: festival underground degli sviluppatori indie. Intervista alla crew
Il 19 e 20 Settembre, allo spazio pubblico autogestito Leoncavallo di Milano, la seconda edizione di Game Over – Festival Underground degli Sviluppatori Indie, chiama a raduno tutti quanti siano interessati al mondo vastissimo dei videogame, sia in veste di sviluppatori che di amatori, proponendo ogni sfaccettatura dell’informatica videoludica. Il programma è nutritissimo, con più di 40 team italiani tra i più rappresentativi, 150 partecipanti con 60 titoli, alcuni inediti, tutti a disposizione del pubblico e dei visitatori.
Abbiamo incontrato gli organizzatori e posto loro qualche domanda riguardo al rapporto complesso tra il mondo virtuale del videogioco e il cosiddetto mondo reale.
D: Anche se in ritardo rispetto ad altri Paesi, il mondo dei videogame indipendenti ha finalmente anche in Italia spalancato le porte dei propri interstizi al grande pubblico, che risponde con interesse esponenziale a ogni evento. Non a caso ho ribaltato la prospettiva: solitamente si scrive che è il pubblico ad essere finalmente interessato. Non credete sia giusto dire e ammettere che per tanto tempo non ci sia stato interesse da parte di sviluppatori e addetti al mestiere a uscire fuori dalla propria nicchia?
R: Forse inconsapevolmente tutti noi abbiamo nel recente e nel meno recente passato videogiocato ben più di quanto ci vogliamo ricordare o ci è lecito farlo: tracce di questo dato di fatto le ritroviamo in tutta una serie di ormai vecchie pellicole dove a sfondo di molte vicende compare il titolo elettronico di turno, nella miriade di oggetti che ci guardano familiari legati al mondo dei videogame oggi obsoleti e impolverati o nel non timido ritorno a un media a cui non siamo mai stati del tutto estranei.
Questo è una sorta di sostrato comune che ha reso tanto fertile il terreno per una nuova esplosione di produzioni capitanate dai team indie o indipendenti, a loro volta non impermeabili a quelle esperienze e con una nuova consapevolezza di essere l’alternativa e non più nicchia al mercato che senza peccato prima li ammaliava.
D: Entrando nel merito del loro carattere sociologico, si è assistito a una progressiva scomparsa dei cosiddetti arcade [Trinkaus 1983] – giochi da svolgersi in una sala apposita e gestiti dall’ormai obsoleto insert coin – a favore dei computer game (come Carlo Molina in Italia o Espen J. Aarseth all’estero ritengono più appropriato definire i videogame). Questo mentre la dimensione domestica del videogioco si è ampliata allo spazio pubblico (si veda, solo a Milano, eventi come il vostro, Playng the game, Milan Games Week, ecc.). Credete che questo cambiamento sia avvenuto dal basso o dall’alto? Mi spiego, sia dovuto all’offerta vastissima e allettante delle grandi major o al contrario alle competenze software sempre più estese?
R: Ti rispondiamo a questa domanda raccontandoti una sorta di breve diario della nostra esperienza della GAME OVER ROOM, in sostanza una room, uno spazio stabile nato all’interno di uno degli storicamente più conosciuti esempi di spazi pubblici autogestiti italiani, il Leoncavallo, a cui abbiamo lavorato dal recupero all’allestimento e che abbiamo da quest’anno animato con l’obiettivo di proporre dal basso un luogo di aggregazione per la fruizione di videogame del circuito di produzione indipendente.
In questa “moderna e autogestita” sala giochi, in controtendenza con quanto avviene con gli stimoli di consumo dall’alto, è un gruppo di persone che spontaneamente sceglie quali titoli proporre a un pubblico di frequentatori (come lo si farebbe per una serata musicale, cinematografica o di reading) e che poi ne accompagna la fruizione discutendo, introducendo e coinvolgendo ogni sera i presenti; abbiamo osservato sera dopo sera una tendenza verso un ritorno a quel modo di giocare arcade, quella necessità di un forte stimolo e un’interazione non necessariamente protratta nel tempo, ma che potesse essere vissuta direttamente a confronto con la macchina o in gruppo nell’arco anche di una sola partita e indipendentemente dalle tecnologie messe in atto.
D: Ultima, provocatoria e forse più pertinente – a Game Over – domanda: il gioco è anche, come molte altre attività umane, “uno spazio di rappresentazione” (Goffman, 1961). I videogiochi indipendenti sono molto attenti a questo punto, tanto da volersi discostare dal mainstream soprattutto nella portata della narrazione, senza la consueta carica competitiva.
Si legge nel vostro sito “Lo spirito di GAMEOVER è: consapevoli che il mercato mainstream dei videogames e delle applicazioni è fondamentalmente portatrice di un modello ideologico e culturale consumista e reazionario, i collettivi di creatori indipendenti possono al contrario incarnare un’attitudine videoludica artistica, critica e radicale, anche dallo spirito mediattivista”. Credete possibile, in termini antropologici, per il carattere agonistico al quale è giunta l’evoluzione della specie, l’affermazione di una qualunque attività umana, ancor più se ludica, senza competizione? Detto altrimenti, non esiste il dubbio che il successo mediatico dell’indie game sia nell’estensione delle competenze software più che nel contenuto critico?
R: La nostra riflessione sul potenziale radicale e mediattivista degli indie games nasce parafrasando quanto già da tempo espresso e prodotto da un collettivo in origine milanese per noi di riferimento dei “La Molleindustria“, questa visione si è poi arricchita in termini di senso artistico, critico, e si è manifestata con i contributi degli sviluppatori che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e incontrare al GAME OVER e nelle numerose iniziative di cui è costituita la scena.
Pensiamo che un’ottima chiave di lettura di questo fenomeno la potremmo rintracciare in un intervento che avremo il piacere di ospitare sabato 19 intitolato Giocare a cambiare il mondo: una panoramica sui videogiochi etici, empatici, nonviolenti’, del relatore e developer Stefano Cecere e nel suo riflettere se un videogioco possa aiutare a scoprire nuovi punti di vista, se possa aiutare a salvare la vita a qualcuno, far comprendere le reali difficoltà di un paese lontano (magari in guerra), affrontare i problemi reali della propria vita o quella degli altri e magari proporre soluzioni alternative trattando temi come l’empatia, la nonviolenza, l’etica, la risoluzione win-win dei conflitti.
Risposte al medesimo fenomeno possono essere lette anche nelle game jam in cui solitamente in 48 ore vengono prodotti titoli da team di programmatori, designer e musicisti spontaneamente e estemporaneamente aggregati che, ispirati a un tema comune, poi ne fanno decostruzionismo e lo interpretano addentrandosi, sfiorando, avvicinandosi e a volte stupendoci per sensibilità critica a loro pieno agio in quello spazio di rappresentazione per il quale citi correttamente in Goffmann.
In programma performance dal vivo con droni e robot, workshop, talk, set di musica 8 bit, maker e fab-lab, sessioni di retrogaming, freeplay e tornei, tavoli con giochi da tavolo-board game, showcase di illustratori, presentazione di autoproduzioni e contenuti open source. Diretta radio di Shareradio sabato con interviste e microfono aperto con gli sviluppatori e i partecipanti. Il programma completo è consultabile al sito http://www.gameovermilano.tk e sulla pagina facebook dell’evento.
Laura Migliano