Fino all´8 agosto il Martin-Gropius-Bau di Berlino ospita una retrospettiva monografica dedicata a Tino Sehgal, artista anglo-tedesco le cui “situazioni costruite” hanno conosciuto nell’ultimo decennio una crescente attenzione da parte di pubblico e critica, coronata con la vittoria del Leone d’Oro alla scorsa Biennale di Venezia (2013). In linea con il suo rifiuto per qualsiasi forma di documentazione, archivio e pubblicità questa mostra si presenta al grado zero, senza alcuna immagine di accompagnamento, senza manifesto, senza didascalie e senza quelle coordinate convenzionali dalle quali – anche chi si appresta a scriverne – potrebbe cominciare a costruire un discorso “classico” di resoconto.
Innanzitutto il supposto tentativo di storicizzazione è smentito dalla mancanza sia di una cronologia di riferimento che di una biografia introduttiva dell´autore: per chi ha già avuto modo di “partecipare” alle sue opere non sarà difficile riconoscerne alcune, nonostante si tratti di partiture performative mai identiche a se stesse, modulate sulla variabile del corpo, dello spettatore, dello spazio, della contingenza immediata. Più concretamente si può dire che ci si sposta da una stanza all’altra dove agiscono diverse situazioni performative e si creano interazioni estremamente effimere. Il continuum della mostra che si lascia attraversare e ri-attraversare da infiniti punti di vista, ha una natura quasi “particellare”, fatta cioè di momenti unici, irripetibili, che resteranno soltanto nella memoria dei presenti.
Sehgal rimane fedele in maniera letterale alla materializzazione dell’opera: non ne ha mai prodotta una che si potesse vendere come oggetto. Collezionisti e musei sottoscrivono una sorta di contratto nel quale si stabiliscono le forme e le condizioni della sua riproduzione, dettate unicamente dall’artista.
Altro feticcio che manca all’appello è il catalogo per il quale normalmente, in occasioni del genere, si investono vaste risorse economiche e intellettuali per offrire approfondimenti e interpretazioni di un percorso di ricerca riconosciuto, applaudito, fissato nero su bianco. Trovo questa scelta, soprattutto da un punto di vista (anti)curatoriale e strategico, particolarmente forte.
In armonia con questi movimenti per sottrazione che celebrano la presenza pura preferirei, dunque, restituire la visita della mostra come un invito, semplice e diretto, senza cadere nella tentazione descrittiva o nominativa, segnalando questo appuntamento come tra i più interessanti dell´estate berlinese.
Clara Carpanini