Se organizzare una mostra collettiva comporta sempre il rischio di creare una sorta di contenitore ridondante in cui le singole opere perdono di visibilità a favore di un pretestuoso proposito unificante, la scommessa della Maison Rouge di Parigi nel presentare un’antologia di artisti attuali e dell’immediato passato argentino si rivela essere andata a segno.
My Buenos Aires racconta di una realtà di produzione culturale incentrata sul rapporto con il territorio e sufficientemente slegata da quei meccanismi di globalizzazione che tendono a uniformare una parte del mondo dell’arte in nome delle logiche di mercato. Non un filo rosso, ma un approccio conoscitivo-indagatore lega in qualche modo alcuni dei 65 artisti presenti in mostra.
Ernesto Ballesteros oscura nelle sue immagini le fonti luminose pervenendo a una visione alternativa della percezione notturna: si tratta di un modo per rimuovere il velo di Maja di schopenhaueriana memoria? O forse di un metodo per codificare l’estetica della luce?
Una serie di cuscini allineati come in un’installazione perfezionata di arte povera si gonfiano e sgonfiano in una sorta di respirazione della materia: i Monochromes respirants di Pablo Reinoso ammiccano alla standardizzazione di una realtà sempre più dominata dalla tecnologia. In un sottile connubio tra minimalismo e tecnologia, l’inquietudine della meccanicità si alterna al fascino per la riproduzione della vita.
Partendo da una disavventura immobiliare personale, Ana Gallardo ha costruito una sorta di casa itinerante utilizzando alcuni mobili che, per questioni di spazio, non poteva far entrare nella sua nuova casa. La Casa Rodante diventa metafora del suo bagaglio di vissuti e testimone delle tappe che hanno condotto l’artista a elaborare una poetica fortemente incentrata sulle dinamiche sociali.
Il duo Tomás Espina – Martín Cordiano elabora l’idea della fragilità e del non detto in un’installazione (Dominio) che riproduce una sala da pranzo e annessa cucina in cui ogni singolo elemento di arredo e suppellettile è rotto e riparato alla meglio: un universo rabberciato in cui aleggia un evento traumatico a cui il visitatore non trova spiegazione.
La Isla di Eduardo Basualdo guida a una sorta di percorso iniziatico all’interno di una casa in cui un gioco di ombre e sculture evocatrici trasportano in un universo che oscilla tra il magico e l’inquietante.
Secondo un’iconografia che ricorda le connessioni sinaptiche, Nicolás Bacal mescola oggetti di sua proprietà a quelli già presenti nella stanza di alcuni suoi amici e, attraverso la fotografia, indaga il microcosmo mentale ed esperienziale che costituisce il suo rapporto con ognuno di loro.
Leandro Erlich focalizza l’attenzione sulla realtà illusoria della nostra percezione. In Rain, attraverso una finestra l’osservatore concentra lo sguardo su un edificio fittizio battuto da una pioggia artificiale a ciclo continuo.
E, verso la fine del percorso, camminare sulle maschere di gesso di Valeria Vilar, resti sparsi a terra di una probabile festa di bambini, sembra voler riportare il visitatore alla consapevolezza dell’effimero: nella celebrazione così come nella creazione.
Danilo JON SCOTTA
My Buenos Aires
Maison Rouge | 10, Boulevard de la Bastille, Parigi
Fino al 20 settembre 2015