Breve riassunto delle puntate precedenti, per chi non sapesse che cos’è Replay! e chi sia Alessandro Sambini.
Replay! è un format televisivo in cui due famiglie si sfidano nel tentativo, attraverso degli smartphone, di replicare una scena, una per ogni nucleo famigliare, su un tema scelto dagli ideatori del programma. La seconda puntata del format, che si potrà vedere fino al 31 luglio a Venezia presso la Serra dei Giardini (all’interno della mostra collettiva Flags curata da Elena Forin), prevede come campo di riflessione atti iconoclasti del passato e i due video proposti sono: la distruzione di una madonna in gesso avvenuta nel 2015 in Medio Oriente e l’attacco alle torri gemelle avvenuto a New York nel 2001. Attraverso un sorteggio le due famiglie scelgono il video a loro destinato.
Nello studio di registrazione sono stati accuratamente ricostruiti i due set in questione. Ogni famiglia ha due oggetti da utilizzare all’interno della scena filmata: pena del mancato utilizzo, il ridursi del montepremi in palio. Terminato il tempo a loro disposizione, i video saranno proiettati nello studio (preceduti dai video originali) e il pubblico in sala decreterà i vincitori.
Per chi non l’avesse ancora capito, Alessandro Sambini (autore di cui ci siamo già occupati nel numero 214 di D’ARS) è l’ideatore e regista dell’opera Replay!.
Il processo innescato, o meglio, su cui riflette Sambini, è simile a quello scaturito dall’immissione sul “mercato delle immagini” delle fotografie dei fratelli Alinari nei primi anni del Novecento. Le fotografie dei fratelli toscani registravano il paesaggio italiano finendo nello spazio rettangolare delle cartoline che andavano a comporre l’immaginario iconografico del territorio nazionale. Questo consentiva alle immagini Alinari di occupare buona parte dell’immaginario iconografico contemporaneo, sovrapponendosi al paesaggio “reale”, quotidiano, influenzando e mediando lo sguardo sulla città o su parte di essa.
Oggi, 2015, sarà l’immagine dell’aereo che si schianta sulla torre a definire il paesaggio della New York che noi ricordiamo così come la Piazza dei Miracoli a Pisa – in una fotografia del 1870 circa – era la costruzione prospettica (Alinari) che restituiva l’immaginario iconografico di un turista del primo decennio del Novecento.
Ma a differenza del borghese viaggiatore milanese che si recava a Pisa per ammirare la famosa torre e conservava un ricordo in cartolina del paesaggio toscano che sarebbe andato a sostituirsi o a sovrapporsi alla sua stessa memoria, il turista contemporaneo non acquista un pezzo di carta da spedire a un amico o da conservare all’interno di un libro, ma scatta o “gira” lui stesso il proprio ricordo, modellando “autonomamente”, almeno in apparenza, la propria memoria.
Questo fa sì che il prodotto ottenuto (naturalmente si sta parlando di un caso generico) sarà influenzato, inconsciamente, dalle immagini che di quel luogo, ma non solo, avrà conservato nella propria memoria. Anzi, lo scarto interessante e quasi grottesco, sarà individuare come, ad esempio, un’immagine iconica come quella dello schianto dell’aereo dell’11 settembre, influisca sulle immagini, in movimento e non, prodotte in un arco di quaranta o cinquant’anni dall’evento stesso, anche in quelle non inerenti al luogo o al fatto dell’accaduto.
L’evento originario si spoglia del suo racconto e rimane una silhouette, uno scheletro da riempire con altro materiale, con altra carne. Rimane uno schema, una struttura, un immaginario visivo da adattare a diverse situazioni. Non vedremo più Piazza dei Miracoli, ma guarderemo attraverso l’inquadratura e il punto di vista di quell’immagine che ci è servita da segnalibro, che abbiamo spedito all’amante che amavamo, ma a cui non siamo riusciti a dichiarare la nostra eterna devozione.
Andrea Tinterri