QUANDO SILVIO CECCATO INIZIÒ NEL 1963 la sua collaborazione con D’ARS, nel suo primo articolo “cibernetica ed arte” (marzo-maggio n° 2) concludeva dicendo che forse un nuovo capitolo si stava aprendo per la pedagogia nel campo dell’arte. Seppure fosse consapevole della forza innovatrice delle sue idee, non poteva certamente prevedere i promettenti risultati che poi si sarebbero raggiunti con la sperimentazione in campo didattico ed in particolare nell’ambito della fruizione estetica. Se la scuola ha potuto trarre profitto dalle sue concezioni tanto avanzate (1) l’indicazione certamente più importante, proveniente dai suoi studi, riguarda l’apporto che il modello di operazioni mentali, da lui concepito fin dagli anni sessanta al Centro di Cibernetica e di Attività Linguistiche dell’Università di Milano, può ancora offrire alla robotica nell’affrontare il problema dell’intelligenza artificiale, certamente controverso, ma di cogente attualità.
Giova tener presente che i robots che si stanno costruendo, anche i più sofisticati dal punto di vista meccanico nella simulazione dei movimenti, sono ben lontani dall’essere dotati di capacità mentali in quanto si tratta anzitutto di analizzarle per poi ricondurle ad operazioni da assegnare al funzionamento della macchina stessa così come Ceccato aveva concepito nell’ambito della “Terza Cibernetica” o logonica (2) riconducendo la mente al dinamismo mnemonico-attenzionale, costitutivo di ogni contenuto di pensiero. Già nell’articolo pubblicato nel 1964 in Civiltà delle Macchine: “L’osservazione nell’uomo e nella macchina”, con la sintesi dei presupposti teorici e metodologici, posti alla base della meccanizzazione delle attività umane superiori, Ceccato presentava il modello a blocchi della “Macchina che osserva e descrive” di cui era in costruzione il primo pezzo: il “visore” . Si trattava dell’apparato ottico composto da due obiettivi in grado di discriminare le stimolazioni visive che si sarebbero presentate come semplici disomogeneità atte tuttavia ad attivare le categorizzazioni percettive. L’assunto fondamentale presupponeva, infatti, che la forma delle cose dipendesse dal dinamismo mnemonico-attenzionale. La macchina poteva così riconoscere gli oggetti soltanto se questo dinamismo fosse stato sollecitato dalle matrici memorizzanti che dovevano contenere registrata la struttura costitutiva degli oggetti stessi nella sintesi dei rapporti invarianti.
La visione sarebbe risultata pertanto dal rapporto interattivo fra il funzionamento del visore e i vari blocchi della macchina ai quali si doveva l’attività di categorizzazione, percezione e rappresentazione, a fondamento della rete correlazionale del pensiero stesso e ciò in dipendenza dei vari atteggiamenti che in questo modello svolgevano una funzione determinante. (figura 1) In definitiva la robotica attuale si concentra esclusivamente sull’ottica e sui processi meccanici e biologici ignorando l’operare mentale al quale si deve in effetti la forma e il significato stesso che assegnamo alle cose.
Per esemplificare le operazioni mentali e il rapporto con il linguaggio, Ceccato si avvaleva spesso, anche a livello didattico, di questo semplice tracciato:
sollecitando l’osservatore a vederlo come “linea spezzata”, ma anche come “angolo”. Ci si rendeva conto come, nel primo caso, l’attenzione era indotta a percorrere la traccia senza staccarsi da essa, articolandola poi nei due tratti, mentre per vedere l’ “angolo” l’attenzione stessa era portata a focalizzarsi principalmente nello spazio fra essi compreso.
Altrettanto efficace e risolutivo per dimostrare il dinamismo attenzione costitutivo della regione e del volume era il tracciato circolare:
Esso infatti può essere visto sia come “cerchio”, nella sua articolazione bidimensionale, ma anche come sfera, palla, pallone, palloncino….dove si impone incoercibile la costruzione tridimensionale del volume quale rappresentazione mentale (figura 2).
Si deve soprattutto alla consapevolezza dell’attività mentale costitutiva del volume, se fu intrapreso sistematicamente lo studio delle strutture costitutive degli oggetti e fu con queste analisi che iniziai la collaborazione al Centro di Cibernetica, coinvolgendo, nei primi tempi, un gruppo di amici pittori e conducendo con loro i primi test di controllo dell’osservazione in atteggiamento estetico (D’ARS Giugno- Ottobre 1964 n° 3). Questa sperimentazione tornò poi utile quando il gruppo collaborò all’allestimento del documentario “La fabbrica della mente” girato dalla televisione svizzera nello studio di Lucio Fontana che seguiva con grande interesse questa ricerca. Se Ceccato con il suo modello di operazioni mentali si affrancava dalla tradizionale dicotomia mentecorpo, Fontana, coi suoi fendenti sulla tela squarciava lo schermo dove ci si illudeva di poter rappresentare la “realtà” della quale saremmo i passivi osservatori, quella che Ceccato definiva la “svista conoscitivistica”.
Certamente non bastava riconoscere o individuare gli oggetti singolarmente in quanto, per possedere una mente, la “macchina che osserva e descrive” avrebbe dovuto stabilire relazioni o rapporti, quelli che Ceccato aveva già individuato nella struttura correlazionale del pensiero e di cui si era avvalso per il progetto di traduzione meccanica. La macchina cibernetica doveva pertanto essere provvista di quella intenzionalità per cui la stessa azione, una volta ripetuta e considerata invariate dal punto di vista fisico, poteva invece assumere significati totalmente diversi. È agevole rendersene conto se si ricorre ad un accattivante test alquanto efficace anche come esemplificazione didattica. Basta prendere alcuni gettoni e nel metterli sul tavolo, ripetendo per tre volte la stessa operazione, si accompagnerà il gesto stesso dicendo alternativamente: pongo, dispongo, compongo. Ci si renderà conto come nel “porre” l’attenzione tenderà a focalizzarsi su ogni singolo oggetto in modo che ciascuno sarà percepito isolatamente mentre nel “disporre” prevale un ordine distributivo e si stabiliscono dei rapporti che si moltiplicano nel “comporre” secondo molteplici configurazioni dove intervengono le modalità costitutive della fruizione estetica: la simmetria, l’equilibrio, il ritmo, ecc. (figura 3).
Questa consapevolezza dell’operare mentale ha consentito di mettere a punto i criteri coi quali si è potuta poi distinguere l’osservazione “comune”, o meramente descrittiva dall’osservazione in atteggiamento estetico avvalendosi, fin dalla prima sperimentazione condotta al Centro di Cibernetica, anche del controllo del movimento dei bulbi oculari.
Furono determinanti le ricerche che in quegli anni conduceva A. Jarbus all’Accademia delle Scienze di Mosca col test dell’osservazione del dipinto di Repin: “L’inaspettato”. Jarbus dimostrava infatti come l’osservatore “comune” si interessasse esclusivamente agli aspetti meramente descrittivi della scena, ai volti, e ai gesti delle persone, ignorando la vasta superficie pittorica dello sfondo che costituisce l’unità globale del dipinto. Per la fruizione estetica, si impone pertanto la compresenza di tutta la superficie dipinta. Questa sintesi, sulla quale si basa la fruizione ritmico-compositiva dell’opera d’arte, trova la chiara esemplificazione nello schema ceccatiano del modulo sommativo dove il rapporto fra le unità in cui si articola il dipinto stesso è posto alla fine dopo aver costituito i singoli elementi. Ciò lo distingue dal modulo sostitutivo in cui il rapporto pone relazioni consecutive fra i singoli pezzi così come avviene nell’osservazione comune, secondo questo schema:
U – U – R = modulo sommativo
U – R – U = modulo sostitutivo
dove U sta per unità ed R per rapporto (3) .
Affinché abbia luogo la comunicazione estetica è necessario, pertanto, che l’artista produttore dell’opera e il fruitore che l’osserva debbano condividere le stesse operazioni mentali in quanto le modalità costitutive dell’opera d’arte si comportano come un vero e proprio codice. Su questi presupposti metodologici, la sperimentazione condotta a vari livelli scolastici ha consentito di precisare alcuni fondamentali criteri operativi: l’ “inquadramento”, la “desemantizzazione”, la ”trasgressione”.(4)
In sintesi l’ “inquadramento” è l’operazione preliminare costitutiva di quei rapporti di compresenza che si articolano nelle diverse modalità della spazialità figurativa a partire dalla protospazialità come matrice di ogni possibile relazione spaziale in cui può far parte lo stesso osservatore.
La desemantizzazione è l’operazione percettiva che consente di sottrarsi al vincolo della denotatività per fruire l’opera nei termini di pure relazioni spaziali o cromatiche e tali da consentire la fruizione ritmico-compositiva dell’opera stessa.
Con la trasgressione, che agisce interattivamente con le altre modalità, l’artista si sottrae alle convenzioni comuni e agli stessi vincoli posti dalla cultura, dalla tradizione, dalla scuola ecc., nella sua autonomia creativa.
Se nell’ambito della tradizione figurativa la trasgressione ricorre prevalentemente alla alterazione delle caratteristiche anatomiche e spaziali, nella contemporaneità possiamo individuarla principalmente nella decontestualizzazione ovvero nel sottrarre un oggetto od anche un evento alle relazioni pratico-utilitaristiche dell’ambiente sociale.
Si ritroverà poi una nuova sintesi dell’esperienza estetica recuperando gli aspetti descrittivi, iconografici e iconologici che riportano l’espressione artistica alla contingenza storica e dove la tecnica stessa consente di cogliere anche l’aspetto metaforico dell’opera d’arte.
Pino Parini
(1) S.Ceccato, Un tenico fra i filosofi come non filosofare – Ed. Marsilio, Padova, 1964, La mente vista da un cibernetico, Ed. ERI, Torino – 1972, Il punto, Voll. I, II, IPSOA, Milano, 1980; S.Ceccato, PL.Amietta – La linea e la striscia – Il testamento pedagogico del Maestro Inverosimile, Ed. Franco Angeli, Milano, 2008
(2) S.Ceccato, B.Zonta, La terza cibernetica, Ed. Feltrinelli, Milano, 1974; Linguaggio consapevolezza pensiero, Ed. Feltrinelli, Milano, 1980
(3) S.Ceccato, La fabbrica del bello, Ed. Rizzoli, Milano 1987
(4) P.Parini, M.Calvesi, L’Immagine, Ed. La Nuova Italia, Firenze, 1970; Il linguaggio visivo, 1980, Ed. La Nuova Italia, Firenze, 1980; P.Parini, Los recorridos de la mirada, Ed. Paidòs Iberica, Barcellona, 2002; Franca Fabbri, Metodologia della progettazione didattica come propedeutica alla fruizione estetica, Accademia delle Belle Arti, LABA, Rimini, 2007.