CHE COS’È LA COSCIENZA? Che cosa ha portato alla nascita della coscienza? La coscienza va spiegata o scoperta? È un ambito di studio della filosofia o delle neuroscienze? Queste sono le domande-totem che hanno guidato il VI Convegno interdisciplinare di “Immagini della mente: neuroscienze e filosofia”, tenutosi il 17 novembre 2009 presso l’Università degli Studi di Milano e dedicato a La coscienza: un bilancio sui rapporti tra filosofia e neuroscienze. “Immagini della mente” nasce nel 2004 come gruppo di confronto tra discipline diverse nella disambiguazione dell’espressione stessa: immagini della mente come rappresentazioni create dalla mente oppure rappresentazioni della mente attraverso le immagini. Il primo significato rimanda all’estetica, il secondo si connette con la ricerca neuroscientifica. I significati, però, si allargano alle diverse espressioni della mente. Ecco quindi che il Comitato Scientifico(1) diede vita a un convegno su “Neuroscienze, arte, filosofia” tenutosi nel 2004, primo di una serie di appuntamenti annuali, che riunì scienziati, filosofi, storici e teorici dell’arte per indagare i contributi dei diversi ambiti di ricerca. Io c’ero nel 2004 e ho continuato negli anni a seguire gli incontri. Parto dalle conclusioni del convegno 2009: il clima nell’ambiente di ricerca è cambiato, lo scontro tra le diverse discipline è stato accantonato e sostituito da un confronto interlocutorio. Non posso che concordare: nel 2004 assistetti a uno scontro frontale tra le (allora) emergenti neuroscienze, eccitate dalle prime sistematiche risultanze di neuroimmagine che sembravano decretare la fine dei segreti del cervello, e la filosofia, portatrice di un difensivo scetticismo circa la possibilità di oggettivare la mente. L’arte guardava attonita, non sapendo bene cosa dire, consapevole di non potersi misurare sul campo delle “dimostrazioni”.
Quest’anno, 2009, le neuroscienze ammettono che la mente non è riducibile al solo cervello e la filosofia riconosce che la mente non funziona se il cervello non funziona. L’arte, questa volta, rimane in vigile silenzio.
Come ben ha illustrato Michele Di Francesco(2), esistono due ordini di problemi:
1. Come si può studiare oggettivamente ciò che è intrinsecamente soggettivo e privato ovvero gli stati mentali?
2. Quali sono i processi che sottendono la percezione unificata della coscienza che ingloba parti cognitive diverse?
Sul primo punto le neuroscienze si limitano a identificare un comportamento funzionale con la causa del comportamento stesso, ma, come faceva notare Vittorio Gallese(3), i neuroni non sono agenti epistemici, sono necessari ma non sufficienti per mentalizzare. Sta alla filosofia chiarire il senso dell’esperienza fenomenica.
Sul secondo punto, non si può prescindere dai risultati neuroscientifici che ben mostrano, attraverso le neuroimmagini, l’attivazione di specifiche aree cerebrali mentre i soggetti svolgono i compiti assegnati e, attraverso lo studio di pazienti con lesioni cerebrali, la complessità e plasticità del cervello umano.
Pur accantonate le diatribe metodologiche, la coscienza è un terreno scivoloso per chiunque voglia indagarla, a partire dalla sua definizione. Se la inquadriamo come consapevolezza del mondo esterno all’individuo, sulla cui base si decide il comportamento conseguente, parliamo di qualcosa che condividiamo con il mondo animale e che è sicuramente osservabile esternamente. Esistono diversi gradi di consapevolezza, ascrivibili agli stadi di sviluppo evolutivo, filogenetico e ontogenetico. Le neuroscienze possono ben documentare le corrispondenze tra comportamento adottato e attivazione delle diverse aree cerebrali, senza comunque correlare mai in termini di causaeffetto tali attivazioni. Stefano Cappa(4) ha chiaramente stigmatizzato le semplificazioni riportate dai giornali: dire che “possiamo smascherare i terroristi” perché possiamo vedere tramite le neuroimmagini quale area del cervello si attiva se il soggetto mente, è fuorviante. Innanzitutto, le neuroimmagini che vediamo non sono fotografie ma il risultato di complesse elaborazioni di pattern di attivazione. Inoltre, si commette una fallacia logica, come dire “se piove, la strada è bagnata; la strada è bagnata, dunque è piovuto”: questo sarebbe vero se la pioggia fosse l’unica causa del bagnato, ma così non è. Il cervello di soggetti con estesi danni cerebrali, in stato vegetativo o con minima consapevolezza, si attiva alla presentazione di stimoli come quello delle persone senza danno cerebrale.
Se, invece, riduciamo la coscienza a ciò che è esplicitabile e condivisibile, evochiamo il linguaggio. In questa cornice è studiabile osservando il comportamento e parlando con il soggetto, che esprimerà il suo vissuto attraverso il codice comunicativo condiviso; il linguaggio indirizzerà lo stato di coscienza. Questa visione rimanda immediatamente al concetto di significato e di comprensione. Vincenzo Costa(5) ha sostenuto una definizione di coscienza come totalità degli atti di comprensione intesi come senso storico del mondo, del contesto in cui ci muoviamo. La coscienza diviene, quindi, quel processo di introiezione di significati iscritti nel mondo. Il quesito che sorge è: come può un ordine di significati storico e sociale iscriversi in un cervello rendendolo atto ad abitare il mondo? Domanda affascinante, che trova parziale risposta nella scoperta e studio dei neuroni-specchio. Vittorio Gallese mette in guardia, però, da facili entusiasmi. Si è osservato che i neuroni-specchio si attivano in presenza di comprensione, ma si è anche osservato che la comprensione avviene anche in assenza della loro attivazione.
Le due situazioni variano per la qualità della comprensione stessa. In più si è visto, studiando i neuroni-specchio presenti nelle aree pre-motorie del cervello, che quanto più ciò che il soggetto vede è congruente con la sua pre-esistente esperienza motoria, tanto più si attiveranno i neuroni-specchio. Come dire: è necessaria una pre-acquisizione esperenziale perché i neuroni-specchio si attivino al fine di una comprensione qualitativamente superiore. E come avviene, allora, tale pre-acquisizione? Le domande diventano sempre più molecolari.
Possiamo chiederci ancora qual è il rapporto tra le emozioni e la coscienza o se la coscienza è solo un’attività del cervello, ma avremmo ancora risposte frammentate e insoddisfacenti. Tutti siamo coscienti di esistere, nel senso più ampio, inclusivo e globale del termine. La coscienza è per ognuno di noi l’esperienza dei nostri stati mentali che “sentiamo” multidimensionali, pur non riuscendo il più delle volte a scomporli. È un’esperienza olistica che le neuroscienze possono approcciare solo con la parcellizzazione degli stadi di esperienza e che la filosofia necessita di ricondurre a gabbie semantiche che, se pur ampie, vincolano la ricerca al già “pensato”.
Vincenzo Costa ha usato un’espressione che mi ha colpito: “ Occorre una pre-comprensione della totalità per comprendere ogni singolo elemento”. Sembra contraddittorio, ma solo per il pensiero sequenziale. Non lo è per l’arte che da sempre si immerge nel tutto e utilizza la comunicazione diretta, da coscienza a coscienza. I tempi stanno cambiando. Un oggetto di studio extra-ordinario come la mente richiede metodi non convenzionali e libertà da schematizzazioni il cui fine intrinseco è il controllo. L’arte sorride e attende di essere ascoltata.
Jeannette Rütsche
(1) Elio Franzini: Professore di Estetica – Università degli Studi di Milano
Giovanni Lucignani: Professore di Diagnostica per Immagini e Radioterapia – Università degli Studi di Milano
Renato Pettoello: Professore di Storia della filosofia contemporanea – Università degli Studi di Milano
Marco Poli: Dipartimento di Scienze e Tecnologie biomediche, sez. Psicologia – Università degli Studi di Milano
(2) Professore di Logica e Filosofia della Scienza – Università Vita-Salute San Raffaele Milano
(3) Professore di Neurofisiologia – Università degli Studi di Parma
(4) Professore di Neuropsicologia – Università Vita-Salute San Raffaele Milano
(5) Professore di Filosofia Teoretica – Università degli Studi del Molise