L’ultima trovata è un tappeto arcobaleno di 200 m2 che riproduce lo spettro di colori di Photoshop. Prima c’erano stati, tra gli altri: Super Mario Clouds, versione modificata del famoso videogame Nintendo, in cui sono rimasti solo il cielo e le nuvole dello sfondo; un tutorial per chitarra elettrica del Capriccio n. 5 di Paganini, realizzato montando centinaia di spezzoni video rubati da YouTube; monitor giganti, girati in verticale come uno smartphone, che visualizzano foto da rotocalco. Insomma, Cory Arcangel è proprio figlio del suo tempo. E i figli del suo tempo lo adorano. Ma quanto durerà? Quindici minuti, come diceva Warhol? O ne parleremo ancora tra quindici anni?
A proposito di Warhol. La passione di Arcangel per i computer l’ha portato, qualche anno fa, a una scoperta sensazionale. Dopo aver visto un filmato – su YouTube, ancora – con Warhol che trafficava con uno dei primi software di fotoritocco su un Amiga 1000 (era il 1985), subito si era chiesto che fine avesse fatto il computer. Beh, era all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh assieme a una serie di floppy disk, cui nessuno aveva mai pensato di dare un’occhiata. E, voilà, ecco spuntare 12 nuove opere di Warhol, artista digitale ante litteram. Questa scoperta sicuramente rimarrà negli annali. Ma le sue burle?
La questione è dibattuta. I gadget di Arcangel ci sembrano un po’ troppo semplici, troppo diretti. Si sorride, ci si scherza su, ma il giorno dopo è già tutto dimenticato. Essendo fatti con oggetti che vediamo tutti i giorni, seppure decontestualizzati – come piace dire agli amanti del genere – e ricombinati in modo creativo, il nostro cervello li butta bel mucchio assieme alle centinaia d’immagini simili che ogni giorno vede in TV, su Internet, nelle pubblicità, per strada. Prendiamo un’altra sua specialità, le sculture – si fa per dire – della serie Screen-Agers, Tall Boys, and Whales (2011-15), fatte con quei cilindri di schiuma che si mettono sotto le ascelle per stare a galla. Appoggiati al muro e abbigliati con accessori e vestiti adattati alla loro silhouette, diventano una satirica galleria di tipi della società d’oggi (deejay, uomini d’affari, rapper, modelle, rockstar). O, ancora, il foulard di seta in 100 esemplari colorato col gradiente Russell’s Rainbow, preso ancora da Photoshop (ma ci sono pure magliette, copriletto e cover per iPad, in vendita sul suo sito). Idee simili, però, se ne vedono tutti i giorni nelle vetrine dei negozi o nelle animazioni pubblicitarie.
Insomma, un po’ hacker e un po’ designer alla moda, Arcangel.
Ma forse l’aspetto più interessante della sua opera sta proprio qua, in questo suo essere una critica e allo stesso tempo un prodotto della moderna società dei consumi e degli accessori, che finirà per mangiarsela e cestinarla in attesa della prossima novità. Come un vecchio videogame. Come un vestito fuori moda.
Se volete farvi un’idea di persona del lavoro di Arcangel, in questo momento ha due personali in corso in Italia: Cory Arcangel. This Is All So Crazy, Everybody Seems So Famous, a cura della GAMeC di Bergamo (fino al 28 giugno 2015, presso il Palazzo della Ragione), con opere dal 2000 a oggi; e Cory Arcangel. Hot Topics, alla Lisson Gallery di Milano (fino al 20 maggio 2015), con una serie di nuovi galleggianti e due videoinstallazioni.
Stefano Ferrari