Quante volte vi siete sdraiati a guardare le stelle. Quanto fascino riescono ad esercitare su di noi quei piccoli puntini luminosi nel cielo: poeti, artisti, musicisti, amanti tutti lì, al cospetto dell’immensità dell’universo. Nel mondo antico, i grandi filosofi greci pensavano all’universo come a una immensa composizione musicale in cui i pianeti producono suoni celesti costanti e capaci di influenzare la vita sulla terra. Da questa suggestione nacque la teoria della musica delle sfere, grazie alla quale vennero determinati i primi concetti armonico-matematici che segnarono l’evoluzione dell’estetica classica e moderna, e che ancora oggi sono riconosciuti come pilastri fondamentali dell’arte musicale e non.
Dall’armonia delle sfere nasce quindi il concetto di armonia musicale e Massimiliano Viel, con la sua opera Crossing: il suono, la musica e le stelle (da poco presentata al pubblico nella sede di AGON a Milano), vuole probabilemente in parte rendere omaggio a questo antico legame che la musica ha con lo spazio, attraverso un suo linguaggio musicale/astrale, che di classico ha ben poco. Vediamo allora, come suonano le sue stelle.
Iniziamo tracciando le tappe concettuali dell’estetica di Viel, giusto per non disorientarci e perderci in qualche “buco nero”. Gli elementi che ci aiuteranno a comprendere l’ascolto di Crossing, sono legati a 4 principi estetici: radio, polifonia, codice, sonificazione. Questi temi sono i concetti cardine anche di altri lavori di Viel e collegano quindi Crossing ad un ciclo di opere musicali legate esteticamente tra loro. Un percorso di studi che Viel ha iniziato nell’89 con il primo Quartetto per archi, andato poi via via perfezionandosi attraverso una serie di sperimentazioni, giunte oggi alla realizzazione di Crossing: una mini galassia sonora composta da 36 stelle. Ma procediamo approfondendo i 4 principi estetici del linguaggio musicale di Massimiliano Viel.
La radio: partiamo dunque dalla base del linguaggio, ovvero l’universo sonoro da cui l’autore attinge. Interferenze e rumore per Viel sono suoni che connettono lo spettatore al Big Bang, in quanto parte di queste sonorità sono un residuo di questo fenomeno, quindi della formazione dell’universo. Le emissioni elettromagnetiche delle apperecchiature che ci circondano, le trasmissioni automatiche (es. i ripetitori dei cellulari), i linguaggi automatici o linguaggi formali di tipo generativo (linguaggio chomskyano – es. codice Morse), da questi elementi estetici nascono i materiali musicali anche di Crossing. L’autore, predilige quindi sonorità pensate per comunicare, più che per allietare l’orecchio; efficienti, piuttosto che gradevoli.
La polifonia: l‘idea musicale che l’autore vuole riprodurre con la sua opera è quella della società dei media. Per rappresentare musicalmente questo mondo sceglie una polifonia “affollata” (crowded polyphony), ovvero un sistema polifonico ricco, composto dalla sovrapposizione di una serie di linguaggi autonomi, riconoscibili nonostante la complessità dell’insieme. Questo è un sistema che si posiziona a metà strada tra la polifonia classica della fuga e del contrappunto, in cui le linee melodiche rispondono tutte a un’idea d’insieme armonico e la polifonia di Iannis Xenakis (swarm polyphony), nella quale le voci si perdono in un impasto sonoro creando un’entità sonora superiore a esse, globale.
Il codice: per lo sviluppo del discorso musicale l’autore ha bisogno di elaborare un sistema di scrittura. Per fare ciò si affida ai principi compositivi di Xenakis: prima bisogna organizzare il materiale/oggetti sonori (out-time) e poi bisogna organizzarli nel tempo, cioè disporli secondo una forma, una successione (in-time). L’autore struttura il materiale attraverso le grammatiche chomskyane collegate a due alfebeti: quello dei simboli (suoni) e quello dei terminatori (pause – es. il silenzio nel Codice Morse determina la fine di un segnale). Questo sistema grammaticale è gerarchico e come una comune lingua è composto da: simboli, lettere, parole, frasi etc. Ogni livello ha il suo tipo di terminatore, il quale ci indica in quale posizione gerarchica siamo. Questi segnali hanno 4 tipi di varianti: struttura, realizzazione, messaggio e presentazione. Attraverso questi elementi l’autore ha la possibilità di avere un oggetto sonoro sempre uguale, ma nello stesso tempo sempre diverso. Il messaggio è minimale (max 3 note e max 2 durate), forte e comprensibile, nonostante sia inserito in una folta stratificazione di livelli. Questo sistema compositivo permette all’autore di utilizzare ogni messaggio come fosse un personaggio, un leitmotiv wagneriano, sempre riconoscibile all’ascoltatore durante la narrazione musicale.
La sonificazione: con questo processo Viel trasforma la percezione di una stella in suono. In altre parole è la traduzione fedele di un paramentro fisico in un parametro musicale. Si parte perciò individuando una topologia fisica (es. lineare, circolare, articolato etc.) per poi trovarne un corrispettivo sonoro. L’autore per sonorizzare le stelle parte da questi elementi fisici: posizione, luminosità, distanza dalla terra e spettro. L’obiettivo di questo processo è quello di mantenere l’informazione tra un parametro e l’altro ad esempio: l’altezza del suono in base alla posizione della stella nel cielo; la luminosità/magnitudo, con la frequenza con cui il suono si ripete; la durata del silenzio tra una ripetizione e l’altra in base alla distanza della stella dalla terra etc. Sonificando le stelle, l’autore stimola una sensibilità in grado di individuare dei pattern, altrimenti non individuabili con altri sensi, un valore aggiunto al già affascinante mondo stellato.
Introdotta l’estetica, entriamo dunque nella galassia sonora di Crossing.
L’opera si ispira ad un ammasso modulare, una mini galassia, formata da centinaia di migliaia di stelle. Viel ha immaginato come può essere vivere al centro di questa galassia. Da questo principio ha selezionato 36 stelle, in mezzo alle quali posiziona lo spettatore attraverso l’ausilio di 4 diffusori (questo il numero a disposizione nella presentazione fatta da Agon, anche se l’ideale estetico dovrebbe essere 36 diffusori, uno per ogni stella).
La polifonia è composta dunque da 36 parti, con le quali Viel crea la sua drammaturgia musicale. Ogni stella è rappresentata da un segnale chomskyano, un messaggio che la caratterizza e identifica allo spettatore, eseguito in ripetizione continua. Ogni messaggio è stato prodotto da un sintetizzatore analogico Leploop e arrichito da varianti sonore prodotte live dall’autore. La forma topologica è il cerchio e nella sua circonferenza vengono posizionate le 36 stelle, scelte dall’autore tra le più luminose dall’emisfero nord a sud e posizionate ogniuna a 10° intorno alla terra.
Il segnale è composto da: una nota di rilievo, note satellite/secondarie, nota perno, silenzio. Le stelle musicalmente sono sempre presenti e fisse, senza movimenti: emergono con assoli o rimangono nello sfondo della scena, intensificando o affievolendo la loro luminosità sonora.
Il brano è diviso in 20 sezioni, che possiamo sintetizzare in 4 macro sezioni, in cui si parte con un intro di presentazione del materiale sonoro nella sezione 1, seguito da una fase in crescendo di complessità e intensità di linguaggio culminante nella sezione 15, punto climax, per poi iniziare una fase di alleggerimento strutturale che scompare poi nel silenzio con la sezione 20.
L’ascolto di Crossing è uno straordinario viaggio nello spazio, restando però comodamente sulla terra, senza razzi, semplicemente con l’immaginazione. E pensare che attraverso il radiotelescopio, si possono veramente ascoltare le stelle. Ma visto che nessuno di noi può averne uno, Massimiliano Viel si comporta per noi come una radio: traduce secondo il suo filtro estetico, le irraggiungibili frequenze elettromagnetiche prodotte da una stella. Ci fosse Dante in questo momento, con il suo estro narrativo, una volta ascoltata questa opera, forse, per la sua uscita dall’Inferno sceglierebbe un finale come questo: “E quindi uscimmo ad ascoltar le stelle”.
Sara Cucchiarini