Xavier Dolan è un nuovo volto del cinema canadese. Venticinquenne, nato nel Québec e figlio dell’attore e cantante canadese Manuel Tadros, ha già cinque pellicole all’attivo. Il suo primo film a passare nelle sale italiane è Mommy, uscito il 4 dicembre.
Nel 2009 realizza il suo primo lungometraggio, J’ai tué ma mère (Ho ucciso mia madre), basato su una sceneggiatura scritta a diciassette anni che analizza il difficile rapporto tra un ragazzo omosessuale e sua madre. Il film, selezionato per la 41° edizione del Festival di Cannes, è elogiato dalla critica per la sua unicità, verità e violenza. Nel 2010 è la volta de Les Amours Imaginaires (Heartbeats) che indaga invece le dinamiche relazionali di due amici che sono innamorati della stessa persona. Forse, nel mettere in scena illusioni e disillusioni giovanili, i meccanismi del desiderio e la costruzione totalmente immaginaria dell’amato, è il suo film meno riuscito, ricordando in modo sbiadito e ingenuo Jules et Jim di Truffaut o The Dreamers di Bertolucci. Del 2012 è Lawrence Anyways, il suo terzo lungometraggio, un lavoro sicuramente più maturo non solo per il linguaggio, ma anche per le tematiche trattate, che assumono un respiro più universale e meno autobiografico. Il film segue la storia di Lawrence lungo dieci anni della sua vita, in seguito alla decisione di voler cambiare sesso. Prima di essere una storia sulla ricerca dell’identità sessuale è una storia sulla ricerca d’identità tout court e sul modo in cui cambiano i rapporti umani nel corso della vita di ciascuno e le difficoltà comunicative che ne seguono. L’anno successivo gira Tom à la ferme, tratto da uno spettacolo teatrale di Michel Marc Bouchard. Nel film Tom si reca al funerale dell’amato Guillliame, scoprendo così che nessuno era a conoscenza della sua omosessualità ad eccezione del fratello, che gli impone violentemente il silenzio.
Mommy, di cui Dolan firma regia, sceneggiatura, costumi e montaggio, indaga invece il complicato rapporto madre-figlio, tratteggiando un amore totale e melodrammatico e proprio per questo dolorosissimo e difficile. Nella periferia di una città del Quebec due figure femminili si prendono cura di Steve, adolescente dal temperamento violento con forti disturbi d’attenzione: Diane, la madre naturale rimasta vedova, donna forte, aggressiva, dal look eccessivo, scontrosa ma disposta comunque a tutto per lui, e Kyla, la vicina di casa remissiva e taciturna che soffre di balbuzie che si assume il compito di farlo studiare per permettergli avere un futuro migliore. Ma il film mostra l’impossibilità del sogno americano perché è pensato per le persone normali, non per chi soffre di disturbi mentali e non ha disponibilità economiche. La madre, in una breve scena, immagina il futuro di uno Steve normale – uno Steve che vuole entrare alla Julliard e ci riesce, che si laurea, si fidanza e si sposa, uno Steve che sorride felice – ma è un futuro che non sarà mai: Dolan immagina infatti una legge assolutamente verosimile in un futuro prossimo e distopico che non dà più posto alla diversità.
La forza del film sta anche nell’uso delle immagini e della musica, evitando il melodramma o la facile commiserazione paternalistica. La scelta del formato 1:1, che è quello della Kodak Brownie, della Polaroid e oggi di Instagram, fa sì che si sia posto per una persona per volta sullo schermo, dando una sensazione di claustrofobia e di vicinanza con l’attore, aumentando così l’empatia. Le scene all’esterno sono luminosissime, con raggi solari spesso in camera, creando una periferia canadese quasi onirica, sospesa; gli interni invece sono virati al rosso, al blu, all’ocra, al verde, ricordando Hong Kong Express di Wong Kar Kai. Dolan è attentissimo anche ai costumi, in particolar modo allo styling della madre, creando così una femminilità eccessiva, esasperata che ricorda le esagerazioni queer e kitsch di Lawrence in Lawrence Anyways. Gran parte della colonna sonora scelta dal regista è costituita da brani degli anni ’90, e quindi della sua infanzia (dagli Oasis agli Eiffel 65). La scelta mira a colpire l’emotività, a evocare ricordi, suggestioni, in un uso diegetico e totalizzante della musica: se inizia un brano è perché qualche personaggio indossa le cuffie, accende la radio, mette un cd sul lettore. Queste scene in particolare sono anche dei momenti di leggerezza che danno respiro al film e lo rendono più simile alla vita, delineando rapporti umani fatti non solo di violenza, scontro ma anche di complicità, parlando così di un amore – quello tra madre e figlio – che va al di là di tutto, ma che alla fine non si rivela sufficiente per salvare Steve.
Eleonora Roaro