Dal 4 ottobre 2014 fino all’11 gennaio 2015 i Masbedo sono stati a Torino presso la Fondazione Merz con Todestriebe, una mostra sugli ultimi dodici anni della loro carriera, curata da Olga Gambari e dedicata a Paolo Rosa di Studio Azzurro – un omaggio all’amico di cui condividono pensiero e visione. Il loro primo lungometraggio The Lack è stato presentato quest’anno a Venezia durante le Giornate degli autori e in concorso al Reykjavik International Film Festival e al Copenhagen International Documentary Film Festival. Ripercorro, attraverso alcuni lavori presenti in mostra, alcune tappe della vita di questi artisti raccontandone l’arte, nell’inevitabile intrecciarsi e invertirsi dei termini arte e vita, tentando così di evidenziare la continuità di temi e di approccio tra la produzione degli esordi e quella più recente.
1970. Iacopo Bedogni nasce a Sarzana. Studia matematica e lavora prima come fotoreporter, in seguito come fotografo commerciale.
1973. Nicolò Massazza nasce a Milano, studia psicologia a Torino e inizia ad approcciarsi all’arte realizzando performance in cui unisce musica e parola.
1999. I due artisti si incontrano, complice il curatore Denis Curti e una mostra sul tema della solitudine legata all’opera di Cesare Pavese.
2000. Realizzano la loro prima mostra, L’intenzione d’amare, firmandola con i due cognomi, mentre da quella successiva, Il senso della lotta, usano il nome Masbedo, dall’unione delle prime sillabe dei loro cognomi. Questo nome racchiude un pensiero comune, più volte definito come umanesimo tecnologico, ovvero l’uso della tecnologia per parlare di ciò che riguarda profondamente l’uomo.
2002. 11.22.03 si riferisce al tempo di coscienza richiesto per assistere all’opera. Un lavoro complesso che mette in relazione l’immagine, il suono e la parola, in una commistione di linguaggi che caratterizza da lì in poi tutta la produzione del duo di artisti, rifacendosi alla gesamtkunstwerk wagneriana. Un’opera che parla dell’uomo e delle sue debolezze, della precarietà di vivere, della quotidiana lotta esistenziale e, non ultimo, dell’incomunicabilità: tutte tematiche che ricorrono anche nei lavori successivi. Vi sono due volti proiettati uno di fronte all’altro, quello di una donna e di un uomo, che recitano un testo di Michel Houllebecq. Sono parole durissime: l’odio, la mancanza d’amore, la morte, la solitudine, l’indifferenza, il suicidio. Sono parole che l’uomo e la donna si rimbalzano l’un l’altro, senza che vi sia ascolto o comprensione. Non partono infatti dalla volontà di comprendersi e di costruire quindi una relazione, ma da un disagio esistenziale che rende ogni comunicazione impossibile e ha come unico risultato la sopraffazione dell’altro. I numeri proiettati nel buio scandiscono il tempo – misura della nostra vita: 11.22.03, 11.22.02, 1.13.09, 00.00.00. Il tempo finisce. L’opera finisce. Tutto finisce senza che ci sia stata la possibilità di essere.
2008. Teorema d’Incompletezza, dal riferimento gödeliano nel titolo, è il primo dei numerosi lavori realizzati in Islanda, in quell’anno epicentro europeo della crisi economica occidentale. In un’atmosfera metafisica e sospesa si evoca la coppia come assenza: un tavolo, due sedie e la natura incontaminata. Alcuni spari distruggono piatti e bicchieri di vetro, la cui trasparenza rappresenta la purezza e la sacralità del rapporto uomo/donna. Ma non è possibile alcun dialogo, l’incomprensione è insormontabile. 2014. Di nuovo l’incompletezza, la mancanza con The Lack, un film fatto di assenze: protagoniste sono donne sole in mezzo alla natura selvaggia e matrigna delle Isole Eolie e dell’Islanda, che con i suoi suoni in presa diretta è l’unica altra presenza del film. Non ci sono uomini, non c’è sessualità, non c’è ironia in questa lotta femminile e archetipica, in questa ribellione per colmare il vuoto esistenziale. Ognuno trova da sé la via per la salvezza, in un uso performativo dell’attore, volto non a elogiarne la bellezza patinata ma la verità. La verità delle donne e del dolore. La sceneggiatura parte dalla visualizzazione di alcune immagini da cui poi si è sviluppato il filo narrativo e che è rimasto in divenire fino all’ultima sessione di montaggio. È un film onirico, fatto di simboli: un abito bianco, un fucile, un faro cinematografico, un pallone nero, una capanna nel nulla piena di detriti. Tutto accade all’interno di una cornice narrativa, in un non-luogo con microfoni, specchi, fogli, sottolineando così la dimensione performativa e la messa in scena, che forse è la messa in scena dell’io.
Ancora psicoanalisi: Todestrieb[e] è la pulsione di morte secondo Freud in Al di là del principio di piacere (1920), pulsione strettamente connessa ad Eros. E Todestriebe è il titolo della performance realizzata in occasione del vernissage alla Fondazione Merz, in cui una platea di uomini davanti ad uno schermo assiste inerme a quello che i Masbedo hanno definito cinema del godimento. Contemplano, senza poter possedere, l’oggetto del piacere. Guardano desideranti un capezzolo, un orecchio, le labbra, le grandi labbra. È il corp morcelé (corpo in frammenti) di Jacques Lacan. Sono immagini macro e crudissime che parlano a un livello emotivo e inconscio, intervallate da altre realizzate al momento di alcuni insetti e di una mantide religiosa, simbolo della dicotomia Eros/Thanatos. È la simulazione di un ambiente naturale in miniatura, un microcosmo totalmente artificiale. È una finzione per raccontare la verità, come nel Barocco. Una finzione che chiede all’uomo se esista una possibilità che trascenda queste spietate leggi di natura o se invece sia tutto carne, istinto, amore, morte e ancora amore.
Il titolo del video 2.59 si riferisce alla durata della canzone Imagine, emblema dell’utopia e delle speranze di una generazione. Lo strumento odontoiatrico con cui si puliscono le carie incide e distrugge il disco, finché le parole imagine there is no heaven diventano un brusio indistinto – il grande brusio vuoto della società. E in questo vuoto cade la neve, totalmente indifferente alle nostre costruzioni e ai nostri sogni.
Svanite tutte le utopie, forse ne resta una: l’amore come ribellione, come sacrificio. Nel video Le voeu è il gesto estremo di un uomo che, in un acquario pieno di meduse, tiene saldamente la mano di una donna a porsi come ultima possibilità di salvezza, al di là della Storia, della Società, della Natura.
Oggi come ieri il loro lavoro è dedicato all’Uomo.
Eleonora Roaro
Masbedo: Art + Life
From the 4th October until the 11th January 2015, the Masbedo group are in Turin at the Fondazione Merz, where they are holding Todestriebe, an exhibition outlining the last twelve years of their career. It is curated by Olga Gambari and dedicated to Paul Rose Studio Azzurro – a tribute to a dear friend with whom they share their thoughts and vision. Their first feature film, The Lack, was presented this year in Venice during the Giornate degli autori and was also competing at the Reykjavik International Film Festival and the Copenhagen International Documentary Film Festival. Through an analysis of certain pieces present at the exhibition, I will examine particular milestones of the artists’ lives, inevitably interlacing and interchanging the terms art and life, and thereby attempting to highlight the continuity of themes and approach between their original works and their latest one. (…)
(Abstract dell’articolo in inglese)
Immagine in anteprima: 11.22.03, 2003, video installation on two TV screens and projections on three white overalls, 11’22”03”’, edition 3 + 2 AP, courtesy Masbedo and Collezione La Gaia Busca
D’ARS year 54/nr 219/autumn-winter 2014
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