55. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia: affidata alla curatela di Massimiliano Gioni, questa edizione riscopre e trasfigura la sua originaria aspirazione di raccogliere in un unico luogo le tante geografie dell’arte contemporanea. Già Associate Director e Director of Exhibitions del New Museum of Contemporary Art di New York, ovvero il museo della città dedicato all’arte contemporanea proveniente da tutto il mondo, Gioni disegna qui una particolare e impossibile cartografia dell’immaginario, che lungi dal voler essere la mappatura geolocalizzata dei vari fenomeni espressivi, mette a fuoco quel desiderio di catalogazione che ha origine nell’antica Grecia e che nel corso della storia ha dovuto fare i conti con la sua impossibilità di realizzazione.
Punto di partenza della mostra, che si snoda tra il Padiglione Centrale dei Giardini e gli spazi dell’Arsenale è il visionario progetto di Marino Auriti: un Palazzo Enciclopedico (da cui il nome dell’esposizione) in grado di accogliere tutto il sapere, brevettato nel 1955 negli Stati Uniti d’America, rimasto incompiuto e assurto oggi, in questa biennale, ad archetipo di quell’utopia che sembra rappresentare il lato estremo, ossessivo e “patologico” del pensiero razionalista. Tuttavia, a partire da questo spunto, quello che Gioni cataloga, in questa che il presidente della Biennale Paolo Baratta considera una grande mostra-ricerca, non è il sapere, quanto il ruolo delle immagini. Ma anche gli approcci, le strade, le pratiche molto spesso non convenzionali attraverso le quali si costruiscono o si lasciano venire a galla gli immaginari poetici, gli archetipi, le relazioni con la realtà e l’esperienza attraverso quell’indagine tutt’altro che scientifica e assolutamente necessaria, il cui fautore non necessariamente consapevole è l’artista, il visionario, il catalizzatore o trasmettitore di flussi umani e cosmici, di volta in volta profeta o pazzo, l’altro. Questo altro non è dunque necessariamente solo l’artista, ma in generale l’essere umano che dedica la propria esistenza alla trascrizione, comprensione e visualizzazione dell’invisibile, da qualsiasi punto di vista decida di affrontare questa impresa, con pratiche scientifiche, mitologiche, spirituali o poetiche.
Ecco allora gli altri due capisaldi intorno ai quali ruotano poi tutti gli altri lavori della Mostra e che dotano lo scheletro-contenitore del Palazzo Enciclopedico di Auriti, di mente e spirito: Carl Gustav Jung che con il suo Libro Rosso affronta ossessivamente la catalogazione delle immagini archetipiche, simboli del linguaggio universale della psiche che affiorano nei sogni e nelle visioni, attraverso un faticoso studio scientifico del proprio inconscio in un più ampio sforzo di comprensione di quello che definirà inconscio collettivo. E i disegni usati come supporti pedagogici di Rudolf Steiner (anch’essi in mostra come il Libro Rosso di Jung ad apertura del Padiglione Centrale e quindi della mostra Il Palazzo Enciclopedico) che introducono il visitatore alla conoscenza del pensiero di questo eclettico teorico che a partire da una base scientifica, filosofica e fenomenologica apre all’esplorazione dell’occulto e lavora alla sperimentazione di un metodo razionale per la comprensione della sfera spirituale e metafisica dell’esperienza umana.
Nella cornice di una Venezia in cui tutto il mondo dell’arte cerca di entrare, come ad un immancabile censimento su scala mondiale, il catalogo dell’arte si scrive in questa edizione con protagonisti anche inediti o inconsapevoli del loro contributo alla tessitura coerente del percorso curatoriale, confluiti nel calderone dell’esposizione da latitudini spazio-temporali e culturali discordanti filologicamente ma concettualmente funzionali al discorso generale, nel quale spesso si iscrivono armoniosamente anche gli allestimenti dei vari padiglioni internazionali (tra i quali compare per la prima volta anche il padiglione della Santa Sede). Con non pochi punti di contatto con la recente dOCUMENTA di Carolyn Christov-Bakargiev anch’essa pervasa dal fascino per le ossessioni catalogatrici, la Biennale di Gioni non fotografa in flagrante la contemporaneità artistica e i suoi linguaggi e ancor meno si occupa della situazione geopolitica e delle sue emergenze. Questo aspetto che da una parte suggerisce la perdita di un’occasione culturale importante, quella di fare luce attraverso l’arte sui linguaggi e gli aspetti problematici del presente per una più lucida comprensione anche del futuro, dall’altra serve forse a ripeterci lezioni non assimilate di saperi da interiorizzare prima ancora che da elencare; forse a riparare un ancora persistente passato che ha frantumato l’unicità dell’essere che, nonostante tutte le conoscenze che possiamo elencare in un enciclopedia, fisica o virtuale che sia, non è ancora stato accolto nella sua interezza.
Mente, psiche, spirito, struttura e, infine, carne: il corpo nel suo aspetto viscerale, sensuale e pulsante, non ancora impagliato ed esposto in una teca museale ma denso nel suo linguaggio biologico, trova spazio in una mostra nella mostra all’interno dell’Arsenale, affidata non a caso alla curatela di una donna, l’artista Cindy Sherman che con oltre trenta artisti affronta il tema dell’immagine, della percezione del sé a partire proprio dalla rappresentazione e auto-rappresentazione del corpo.
Martina Coletti
D’ARS year 53/nr 214/summer 2013