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53. Biennale di Venezia. Making Worlds: fare mondi liberi

Sul pianeta Terra ci sono circa sei miliardi di esseri umani, sei miliardi e mezzo di visioni diverse del mondo, di verità.  Gli artisti, quelli di cui l’arte è divenuta una professione, sono molto meno, e sono coloro che dovrebbero essere più consapevoli del “dono” della creatività. Il mondo in cui viviamo è diventato piatto, come dice Thomas Friedman, tutto tende ad avvicinarci agli altri dal commercio, alla rivoluzione delle comunicazioni. L’umanità dovrà fare i conti non solo con le frontiere  geografiche e le identità culturali ma soprattutto con la forza del pensiero creativo perché prima di fare mondi occorre pensare e immaginare mondi diversi.  Questa 53° Biennale, nonostante la crisi, si è aperta più viva che mai, circondata dalle inevitabili  polemiche. Bello il titolo Fare Mondi, un titolo che potrebbe funzionare anche per le future biennali, ma anche per congressi di filosofia, in quanto è omnicomprensivo. Il filosofo e “direttore d’orchestra” Daniel Birnbaum  ha cercato di fare tabula rasa, chiedendosi “come può essere condotta oggi la ricerca di un nuovo principio”? La consapevolezza di essere di fronte ad una svolta culturale e creativa è già un fatto da non sottovalutare. Le nuove visioni del mondo sono al di là da venire, e non si dà azione nuova senza un pensiero nuovo che la anticipi. Ciò che ho visto a Venezia  sono senz’altro opere di buon livello, alcune stelle dell’arte che brillano di luce propria sono poste accanto ad altre povere di energia creativa in cui la comunicazione è tutta mentale a discapito del sensoriale oppure  è giocata sul mero disturbo visivo che non hanno niente di provocatorio, come ad esempio l’inospitale e brutta caffetteria situata nel nuovo palazzo della Biennale di Tobias Rehberge (vincitore del Leone d’oro come migliore artista!). Costruire quindi un nuovo mondo in cui l’arte, l’ispirazione e l’immaginazione aprano piste non battute. E’ indubbio che ogni visitatore si costruisce la propria biennale, seguendo un percorso emozionale diverso, attraendo come un magnete ciò che già fa parte della propria esperienza, mai perdendo di vista la grand’energia che muove tutto, vale a dire la curiosità.

Matteo Basilé Thisoriented # 1, 2009 Courtesy Galleria Pack
Matteo Basilé
Thisoriented # 1, 2009
Courtesy Galleria Pack

C’era uno strano odore di naftalina in alcuni luoghi deputati ad accogliere le opere e mi sono chiesta cosa fosse: la naftalina conserva gli oggetti, tiene lontani ospiti sgraditi, ma se mi consentite di andare oltre la metafora questa 53° Biennale tutto vuole essere fuorché un luogo stantio in cui pensare al passato. O almeno non sono state queste le premesse volute da Daniel Birnbaum. Una biennale che si rispetti è proiettata al futuro, ha il coraggio di presentare mondi dirompenti, nuovi, sperimentali.  Come sempre ci si trova di fronte ad una quantità di opere impressionanti, ad  un eccesso visivo di informazioni, il mentale prevale sul sensoriale anche se sono stati fatti sforzi non indifferenti per contenere tale tendenza. Solo una lettura più meditata e attenta può forse consentire di trovare un filo, un senso e scoprire nel caos una briciola di  ordine. Da un po’ di tempo a questa parte, un ordine, una direzione non ci sono. Ci si trova tuffati nel giardino  del Big Bang, catapultati in quest’esplosione di frammenti e se non si ha un GPS interno non se n’esce vivi. Un’ “emotional guidance system”, ossia un sistema di guida emotivo, può essere a mio avviso un’ottima guida. Provare a fermarsi e a sentire che cosa l’opera ci trasmette. Nella consapevolezza che tutti i linguaggi, i movimenti, sono stati digeriti e trasformati ci si trova di fronte ad un buco nero con una sola domanda in mente: ed ora cosa succederà? I momenti di crisi intensificano tale ansia sul futuro, ma sono anche i tempi migliori per desiderare il cambiamento.

Per capire fino a che punto il nostro tempo disorientato e confuso abbia rinunciato a trovare un senso, basta immergersi e incominciare il viaggio far i tanti universi che s’incontrano qui a Venezia, tra i numerosi artisti scelti dal curatore che ha incluso giovanissimi e artisti del passato prossimo di tutte le discipline creative dalla fotografia all’installazione, dalla pittura alla scultura riducendo di molto la presenza della  video art. Ci sono anche cose discutibili, ma è ovvio che sia così.

Connessa con il mio EGS, Emotional Guidance System sono entrata in sintonia con un certo tipo di opere che mi hanno fatto pensare alla complessità e nello stesso tempo alla semplicità dell’universo, a cominciare dall’argentino Thomas Saraceno, nato a Tucuman nel  1973, che ai Giardini con la sua installazione, ha proposto una ricostruzione sperimentale dell’origine  dell’universo attraverso una struttura che ricorda la tela di ragno, a guidare la tessitura una tessitrice professionista:una vedova nera. Le connessioni invisibili che muovono il mondo di calviniana  memoria, sono anche quelle di Lygia Pape, ( 1927- 2004) brasiliana, con il suo magico ambiente che apre le corderie, all’Arsenale. Nel buio, i fili di acciaio creano uno spazio immateriale: la scultura sembra fatta di luce.

L’opera di Chun Yun Constellation, è costituita da computer e vari elettrodomestici svincolati dal loro contesto abituale e installati in uno spazio buio. Le spie luminose lampeggiano in continuazione creando un piccolo universo. Grazia Toderi utilizza il video per osservare la realtà da una lontana prospettiva. Le traiettorie di luce e le costellazioni distanti, tra realtà e immaginazione, sono  motivo d’ispirazione per l’artista che presenta all’Arsenale una doppia proiezione video Orbite Rosse: le mappe pulsanti di Toderi non sono presenti in nessun atlante geografico. Tra gli artisti che lavorano con la luce cito il coreano Haegue Yang con le sue sette sculture luminose con diffusore di profumo, che ti affascinano e nel frattempo ti respingono perché l’artista ha appositamente lavorato sul concetto di tensione dovuto alla provvisorietà dello scenario quotidiano.

Questa Biennale è piena di riferimenti che intersecano la sfera terrena e quella spirituale, anche se l’accento è posto sul “fare”. Questo è evidente più che mai nell’opera del cinese Huang Yong Ping  (nato nel ’74, vive a Parigi) con le sue enormi mani di Buddha, costruite in legno di cedro e già esposte all’UCCA Foundation di Pechino. Altro artista che segue questa visione è Paul Chan, (Hong Kong ) con Sade for Sade’s Sake, ispirata all’opera di De Sade, la proiezione è costituita da ombre di corpi umani in movimento: sulla parete scene erotiche e di vita. Della carnalità rimane solo l’ombra a testimoniare l’universo illusorio e immateriale.  Tra gli eventi collaterali vorrei segnalare due mostre che mi hanno colpito: The Fear Society, Pabellon de la Urgencia alle Gaggiandre e Unconditional Love, organizzato dal Moscow Museum of Modern Art.

Tomas Saraceno, Giardini Galaxy forming along filaments, like Droplets along the Strands opf Spider's web, 2008
Tomas Saraceno, Giardini Galaxy forming along filaments, like Droplets along the Strands of Spider’s web, 2008

La paura e il suo contrario: l’amore. Il primo è composto di tredici artisti di diversa generazione che hanno interpretato e mostrato cosa è la Società della Paura, e rispecchiare i tempi spaventosi in cui viviamo. Fa parte di questa rassegna il bellissimo video d’Alfredo Jaar su Pasolini. Unconditional Love propone lo splendido video in alta definizione digitale di The Feast of Trimalchio di AEF+S che aggiorna la storia del Satyricon di Petronio, trasponendolo in un hotel di lusso. Anche qui la passione, la carnalità, il desiderio,  si trasformano nell’effimericità dell’esistenza definendo l’amore attraverso la sua negazione, è l’amore che anela e che fa costantemente i conti con il vuoto e la sua mancanza. Per finire qualche cenno al Padiglione Italia che ha consacrato gli artisti di Luca Beatrice, il quale si è protetto sotto l’ombrello dell’ideologia, tirando in ballo discorsi politici che con l’arte non c’entrano niente: uno spettacolo di pessimo gusto. Gli artisti del Padiglione Italia con Collaudi: Omaggio a F.T. Martinetti, possono anche non piacere, ma di certo il contesto provinciale più chè provocatorio non giova all’arte italiana. Gli artisti meritano più rispetto. Notevoli le opere di Matteo Basilè, Luca Pignatelli, Elisa Seghicelli, Silvio Wolf, Marco Lodola, Nicola Bolla. Qualcuno altro al confronto appare debole come Valerio Berruti e Davide Nido per esempio. Ma è solo un punto di vista, un punto di vista può essere una visione parziale del mondo, anche se il mondo è tale perché contiene tutti i punti di vista tutte le visioni, l’universale e il particolare sono inscindibili nella costruzione del fare mondi si spera sempre più… liberi.

Stefania Carrozzini

D’ARS year 49/nr 198/summer 2009

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