Il 27 marzo si è inaugurata negli spazi dell’Hangar Bicocca di Milano, Installations, la retrospettiva di Cildo Meireles (Rio de Janeiro, 1948) a cura di Vicente Todolí con opere dagli anni ’70 ad oggi.
L’artista, pioniere dell’arte concettuale, è tra i primi a sperimentare alla fine degli anni ’60 installazioni immersive e sinestetiche, che rivelano il loro senso solo nel momento in cui sono esperite fisicamente. Mettono in gioco non solo la vista, ma anche tatto, udito e olfatto, creando spesso cortocircuiti sensoriali e paradossi. Ragiona sullo spazio, che non è mai neutro, ma ricco di significati altri, legati alla storia, all’antropologia, alla psicologia. L’arte serve ad una percezione più consapevole del mondo, afferma l’artista*, e ciò non è possibile se non in una sfida continua in grado di mettere in gioco l’uomo in quanto tale nella sua globalità, e non solo dal punto di vista intellettuale.
E come uomo Cildo Meireles è indubbiamente legato alla sua terra d’origine – il Brasile – e alla drammatica situazione politica degli anni ’60: il colpo di stato del 1964 aveva infatti portato ad una dittatura militare guidata da Humberto de Alencar Castelo Branco, con il conseguente controllo dei media e della libertà d’espressione. Il tema della dittatura, del colonialismo, della globalizzazione, del denaro (denaro come valore simbolico) e dei diritti umani caratterizzano molti dei suoi lavori (come Arvore do dinheiro, Amerikkka, Olvido…), ma mai in modo letterale, limitandosi alla presentazione dei fatti o di un evento specifico. E se questo accade è un pretesto per dire altro: quando parla del Brasile o della sua mitologia allude all’intera umanità. Egli crea sempre metafore, accostamenti stranianti usando simboli appartenenti ad ambiti semantici diversi, tendendo così all’universale.
Tra le opere presenti in mostra, la microscopica installazione Cruzeiro do Sul (1969-1970), uno dei suoi primi progetti. È un cubo di 9 mm di legno di pino e di quercia, alberi sacri secondo la cosmogonia degli indiani Tupi: dalla frizione dei due si crea il fuoco e la divinità del tuono manifesta la propria presenza. È una critica alla concezione eurocentrica della storia e una riflessione sul bisogno di miti e sull’oblio verso cui vanno incontro le tradizioni degli indigeni.
Babel (2001) è una Torre di Babele costituita da numerosi apparecchi radiofonici appartenenti ad epoche diverse e sintonizzate su stazioni differenti: il risultato è un insieme cacofonico di voci, metafora del caos della società contemporanea. Ha scelto radio usate perché ogni persona può così riconoscere una radio che apparteneva a qualche parente o a loro stessi quando erano bambini. Come un oggetto magico, permette di sognare, di viaggiare con la mente, di andare oltre lo spazio.
Através (1983/1989) è un labirinto costituito da un insieme di materiali come reti da pesca, filo spinato e veneziane, con una grossa palla di cellophane al centro e il pavimento cosparso da vetri rotti. La situazione è volutamente scomoda: la paura – afferma Meireles – ci rende più attenti al mondo attorno a noi, amplifica i nostri sensi. È un’opportunità per trasformare una sensazione negativa in altro.
L’allestimento di Marulho (1991/1997) è stato pensato ad hoc per lo spazio del Cubo dell’Hangar Bibocca. L’installazione è una realtà virtuale low-tech: vi sono un molo, il cielo blu come i monocromi di Yves Klein e una distesa di fotografie riproducono immagini di acqua, volte a creare un mare fittizio. In sottofondo, delle voci ripetono la parola “acqua” in diverse lingue. E nel momento in cui capiamo che i nostri sensi ci hanno ingannato, proviamo lo stesso senso di straniamento del protagonista di The Truman Show quando scopre che il cielo che credeva così distante è in realtà dipinto, tangibile e quindi irreale.
Eleonora Roaro
Cildo Meireles
Installations
A cura di Vicente Todolí
dal 27.03 al 20.07.2014
Hangar Bicocca, Milano
* si veda per approfondimento il documentario del 2008 di Gerald Fox realizzato dalla Tate Media con Arts Council England.